PHYDIGITAL
È ormai risaputo che l’influsso della tecnologia sull’arte sia una caratteristica imprescindibile. Si pensi che fin dalla sua comparsa, si è sempre più inserita nella produzione artistica, insinuandosi nelle differenti sperimentazioni dell’arte e coinvolgendo un numero sempre maggiore di artisti, spesso giovanissimi ma anche meno giovani. Tuttavia, è importante sottolineare come, in questo particolare momento storico, con grande sorpresa, il “tradizionalismo” della pittura non perda affatto il suo fascino ancestrale ma anzi ne conquisti gli aspetti più reconditi e impenetrabili.
Michele Farina, un giovanissimo artista italiano, colpisce e sorprende per la sua capacità di combinare l’arte della pittura con la fotografia e la conoscenza tecnologica, con una particolare attenzione nei confronti del digitale e dell’interattivo. Spesso, nel suo lavoro artistico, sono utilizzati sensori led, luci al neon e sono costruite macchine che tracciano un segno umano, ponendo la tanta discussa questione sull’intelligenza artificiale e su tutto quello che essa comporta, circuiti elettronici, schemi digitali, pixel, etc.
Nell’attività artistica di Farina, l’utilizzo della tecnologia è perennemente in evidenza ed è ciò che caratterizza maggiormente il suo “fare artistico” contemporaneo. Egli giunge all’utilizzo di queste nuove tecnologie a seguito di un percorso di studi accademici classici e studi di design, dopo aver collaborato con alcune aziende italiane di alto livello. La sua ricerca artistica si caratterizza quindi per questo continuo rapporto tra arte e tecnologia che sta influenzando sempre più la nostra vita e la percezione che abbiamo del mondo esterno.
Già negli anni settanta, un artista veneziano, Fabrizio Plessi, presentando le sue prime video-installazioni a Torino con elementi mobili e monitors, riuscì ad introdurre in modo preponderante la tecnologia nell’opera d’arte, “raccontando” il contemporaneo con strumenti non convenzionali, rendendoci partecipi di un metaverso. Tutto ciò evidenzia il grandissimo potenziale di interazione tra arte tradizionale e arte contemporanea.
È proprio questo aspetto, che trova in Michele Farina un humus fertilissimo, in quanto la sua giovane “ricerca”, dopo avere “attraversato” una parte della tradizione accademica si getta improvvisamente in un multiverso artistico del tutto innovativo.
Phydigital è una mostra, un allestimento che rappresenta un mondo di transizione tra il reale e il digitale, gettando un ponte tra l’universo del pixel e quello degli atomi. Farina sceglie questo tipo di linguaggio per avviare un’opportuna discussione critica sui rischi e sulle potenzialità del mondo digitale che comunque, a mio parere, non può prescindere dal “fare artistico” tradizionale; potrei dire che i due “linguaggi” possono in qualche modo coesistere e dare luogo ad una individuale libertà interiore e ad un arricchimento reciproco.
Michele Farina, in un certo senso, annulla la tecnicità classica ma lo fa dopo averla affrontata, studiata e quindi non escludendola a priori; questa caratteristica lo rafforza nella sua ricerca tecnologica aprendosi ad una vera e propria “odissea” di libertà espressiva. La sua macchina del segno crea uno spaesamento temporale, uno sfasamento, una sorta di “Blade Runner” per cui l’essere umano diventa protagonista di un nuovo umanesimo.
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Mauro Pipani_2024​
Raccontare
in uno scatto
il binomio
uomo cane
La fotografia di Angela Anzalone il connubio cane ed essere umano. È una tematica che esplora l’intima relazione fra l’uomo ed il suo più antico compagno. Concentrandosi nello scatto fotografico di rimandare allo spettatore l’affetto reciproco la fedeltà, sulla diverse specie, ma anche nei tagli di luce e nelle ambientazioni, sulle estrazione sociale dove l’umano viene rappresentato, che ne caratterizza un significato diverso di ogni scatto. Spesso vengono rappresentati momenti di quotidianità intima silenziosa cruda, che i due mondi, uomo e cane rappresentano pur tuttavia una unione li accomuna in una sottile somiglianza di espressione.
Il cane vive in una simbiosi che va oltre la parola detta dall’uomo ma interpreta anche gesti, gioie, alienazioni nevrosi del quotidiano della vita stessa di ogni giorno, cosi mi viene da pensare che questa tematica sul cane anche nella pittura è stata rappresentata da diversi artisti per citarne. In assoluto, che ha rappresentato la drammaticità equiparandolo all’essere umano è Francis Bacon, le sue tele che rappresentano il cane riportando a tale eguaglianza l’alienazione uomo - cane. Tornando al lavoro della Anzalone nei suoi circa 15 scatti esposti invece c'è una sottile predilezione ad una sorta di strana quiete che nasconde in maniera sottile il dramma della malinconia dell’essere umano, una fotografia esistenzialista dettata anche dagli spazi abitativi dove vengono inserite le due figure ,quindi non ci si trova davanti ad osservare scatti di reportage fotografico come spesso oggi succede, ma scatti interpretativi che l’artista filtra con la sua sensibilità. In questo meritevole progetto, il cane diventa un identità dell’essere umano, un riflesso del suo stato e della sua condizione di vita .
La Anzalone frequenta fuori corso le lezioni di Guido Guidi, artista fotografo di grande livello internazionale e ne trae benefici sicuramente nelle sue interpretazioni, ma vorrei aggiungere che sicuramente, guarda anche con osservazione il paesaggio le tematiche di Ghirri che interpreta immagini malinconiche sul territorio del paesaggio, una malinconia seppur mascherata come i sorrisi nelle immagini delle figure della Anzalone, immagini anche felliniane di cui il grande maestro segna la sua terra.
La Anzalone in questi scatti raccoglie i suoi studi gli sguardi dei gran di fotografi del territorio per farne poi un suo linguaggio autonomo. La sua sensazionale sensibilità si configura in questo progetto, la sua maturità artistica di fotografa è evidente e segna, il suo icastico cammino.
Mauro Pipani _ottobre 2024
Alla base della nostra percezione di un paesaggio che“Frana”
c'è un processo spirituale.
Cos'è una frana? Questa parola dal suono potente e drammatico che entra fragorosa nella mente di un essere umano al solo pensarla, immaginarla, La frana, dal latino frangere. indica una rottura una caduta una perdita, una crepa profonda, che produce mutamenti, spostamenti. stravolgimenti degli assetti originari.
Frana ciò che raggiunge un punto di non ritorno. ciò che non può più essere nello stato in cui si trova, per pressioni esterne o sommovimenti interni, a noi, un cambiamento un nuovo paesaggio esteriore interiore un nuovo rispecchiamento del nostro guardare vedere ascoltare; è questo un concetto che dal macro-geologico si può trasferire all’uomo in quanto essere che abita il mondo, seduto su un terreno potenzialmente e perennemente“franoso” instabile disancorato, in movimento silente, per sua intima natura. Un evento distruttivo dal quale tuttavia è possibile ripartire per una ricostruzione radicale, cercando di mantenere una costante visione delle essenze vitali del nostro pensiero dai detriti deI passato dalla frammentazione della memoria, ricostruire il nostro nuovo paesaggio interno ed esterno implica raccogliere i granelli più leggeri della “nostra frana” guardarli sentirli ascoltarli per “lenire" il nostro pensiero e salvaguardare il futuro, in una dinamica in costante sviluppo, inarrestabile, vitale e nuovo.
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Mauro Pipani_ 2019
La casa fiorita
La casa fiorita è un bagaglio di ricordi che porti con te, quando parti senza una meta vera o perlopiù sconosciuta.
Tutti noi migranti veri o inconsapevoli percorriamo il viaggio impervio della vita. Tutti noi migranti, abbiamo nell'anima una casa fiorita che è il simbolo del nostro segreto, che va scoperto ed ascoltato, mentre il viaggio si compie.
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Mauro Pipani_ 2014
Il respiro
dello sguardo
Il fatto che oggi si parli sporadicamente dei rapporti di amicizia tra artisti, potrebbe sembrare poco rilevante, trascurabile nel mondo dell’arte contemporanea e di poco interesse. Ma se guardiamo indietro nel tempo, leggendo la storia dell’arte e della letteratura, si comprende bene quanto invece siano fondamentali e quanto siano forti le relazioni tra queste due forme espressive che corrono parallelamente sfumando, a volte, l’una nell’altra, alimentandosi reciprocamente. A tal proposito, in un panorama artistico contemporaneo, lontano da ogni decorativismo formale, mi piace ricordare Jannis Kounellis, icona dell’Arte povera che amava definirsi “un poeta muto, un pittore cieco, un musicista sordo”. È stato detto che i suoi disegni e i suoi schizzi dominati dal nero dell’inchiostro e del carbone, simboli della struggente malinconia della notte e dell’irrazionale richiamassero il mare nero cantato dal poeta simbolista Arthur Rimbaud. Del resto, come afferma lo stesso Kounellis “l’artista dialoga con tutta l’arte, ma poi ha i suoi prediletti”.
E così penso ad una poesia di Ferruccio Benzoni dal titolo “Creaturina di mare”, riletta di recente, che ha acceso in me un sinergismo pittorico non solo dal punto di vista emotivo ma anche da quello più propriamente descrittivo e sensoriale, in linea appunto con questo mio progetto artistico. Il “profumo” del paesaggio, dei luoghi marittimi del litorale romagnolo ha intriso in modo profondo l’esistenza e l’attività artistica di chi in questi luoghi ha vissuto, dando vita ad una sorta di geografia sensoriale della memoria che si va a ricreare in queste mie opere.
In un testo del 1976, Benzoni riferendosi alla mia pittura giovanile, ancora alla ricerca di un “linguaggio autentico”, ne parlava come di una situazione d’eclisse: “… posso solo dire come, dietro la tua vicissitudine formale, la tua folgorazione cromatica, un ragazzo intuisca quanta primavera sia sfiorita e, insieme, quanto rovello perché una rosa, nonostante tutto, abbia il suo colore”. A partire da questo momento, mi sono avvicinato sempre più alla poesia, da cui ho tratto “nutrimento” per il mio lavoro, traendone spunti, forza espressiva, non certo per rappresentare una “poesia visiva” bensì una pittura sensoriale lirica e astratta che è quella che mi rappresenta e che fa parte della mia essenza artistica.
La serie di carte intitolate “Creaturina di mare”, che ho realizzato appositamente per questa esposizione a Casa Pascoli, trasforma il mio vissuto, richiamato alla memoria, in ricerca artistica. In un momento storico in cui l’arte contemporanea si inabissa in un vuoto incolmabile di decorativismo estetico, questione risaputa da chi, a partire dagli anni settanta, ha seguito gli sviluppi dell’informale astratto, riconoscendone i veri protagonisti, sento, in quanto artista, la necessità di riconquistarne l’essenza, mettendone in luce una mia personale interpretazione. Come del resto ricorda Claudio Spadoni in un suo saggio, nelle mie opere si parla di rimandi a luci, riverberi, atmosfere, perfino ad odori e sensazioni, “tratti paesaggistici apparentemente “dimenticati” che tornano in pittura lasciando echi, corrispondenze, e infine tracce di un passato che in fondo non passa mai ”.
Tutto questo per riconfermare quanto la poesia e la pittura possano “contaminarsi”, così come le altre discipline artistiche tra loro, non più rinchiuse settorialmente. Ecco quindi che questa poesia di Benzoni “Creaturina di mare” raccoglie quel sentimento evocativo che porta l’artista ad immaginare il proprio “universo”; il ragazzetto sulla rena del mondo argenteo e sublime del mare fino al respiro dello sguardo, dove gli accadimenti si ripetono ciclicamente, seguendo le stagioni con vesti e linguaggi diversi e che l’artista sa cogliere rappresentando il suo “linguaggio” contemporaneo e quindi il suo tempo.
Mauro Pipani_maggio 2024​