top of page
Claudio Spadoni con Mauro Pipani e asses
Qualche considerazione sulla pittura di Pipani

di Claudio Spadoni
 

Spazi per un paesaggio. È l'indicazione di Pipani per questa esposizione allestita nell'ex chiesa del Santo Spirito. Un'indicazione che nei termini, spazi e paesaggio offre due  tracce basilari  per addentrarsi non solo nella complessità dei lavori eseguiti per la mostra, ma si può ben dire di tutta la storia matura dell'artista. Due termini che estensivamente chiamano in causa questioni fondamentali anche della storia della moderna pittura; per intenderci, almeno dall' avanguardia astratta nelle sue diverse vie, da Mondrian a Malevic  in poi, fino alla stagione della 'pittura analitica' degli anni '70,  il cui fondamento storico-teorico si deve in particolare a Filiberto Menna. Ma intanto sarà il caso di riandare al denso saggio di Sandro Sproccati a corredo di un prezioso catalogo di Pipani del 2020, dal titolo, a sua volta, particolarmente significativo anche se tutto da decifrare: “Autoritratto di un luogo”. Qui Sproccati trattava alcune questioni di carattere generale, a cominciare da quella, solo in apparenza ovvia, della “profondità - virtualità” della pittura, prendendo spunto da alcune  considerazioni di Matisse sulla cornice e il 'limite' del quadro, e sgombrando subito il campo dagli impicci mimetici, insomma dai rapporti referenzialistici come si usa chiamarli. Detto in breve, si partiva dal fatto che ogni impianto prospettico, ossia di finzione della profondità, era stato relegato tra i residui di una lunga tradizione da artisti delle moderne avanguardie rivolti ad indagare  sulla 'superficie' piuttosto che su una spazialità illusoria. Che voleva poi dire la diversità del guardare un dipinto rispetto  all'abituale guardare la realtà. Si comprende bene, dunque, che lo spazio della pittura in quanto 'altro' rispetto a quello reale, quale che sia,  sposta decisamente i presupposti del 'vedere'. Di quale spazio, dunque, si può parlare se ci si pone di fronte ad una superficie dipinta, e come entrare, per così dire, in questo spazio dove il rapporto referenzialistico cessa di esercitare la sua  influenza; e quali criteri  si potranno adottare per valutarne la qualità  specifica in termini pittorici? Questione di non poco conto se solo si pensa che la qualità nell'arte da tempo è diventata sempre più un fantasma, quanto mai labile, sfuggente, interpretabile a seconda del contesto estetico culturale, nonché economico, di riferimento. Cosa comporta dunque tutto questo nel considerare il lavoro di Pipani?

Se poi si prende in considerazione l'altra  indicazione del titolo, ovvero paesaggio, la faccenda si complica ulteriormente. Intanto, se si dovesse sospendere ogni riferimento ad un appiglio, ogni pretesto naturalistico per attenersi  solo alla pittura come pittura,  si dovrebbe subito constatare come il lavoro attuale  di Pipani si collochi su una linea di continuità davvero rara con quanto realizzato nelle diverse stagioni del suo percorso. Sull'annosa questione del referenzialismo  gli sviluppi in chiave astratta della pittura da più di un secolo a questa parte sono stati spesso in bilico su un'ambiguità irresolubile. Un conto erano i pronunciamenti, le dichiarazioni teoriche, un altro gli esiti pittorici spesso suscettibili di letture non del tutto consequenziali. Senza contare che, come spesso accaduto, quanto è stato rimosso come retaggio obsoleto, ormai fuori corso del passato, ritorna poi clamorosamente in auge.  Ma per tornare al paesaggio - e certo non a caso è stato riproposto questo termine   con tutto il bagaglio di storia, di interpretazioni che si porta appresso - occorrerà pur chiedersi la ragione di tale insistenza. Ragione che  dovrà ricercarsi  innanzitutto, se non esclusivamente, nelle opere, nella loro specificità – stavo per scrivere qualità - di pittura. Ed è sostanzialmente, la stessa ragione che si può ritrovare nei dipinti  di oggi, dove paesaggio ritorna, s'intende bene, come sfondo  e sostanza di spazi che tutto possono richiamare tranne che un'asetticità prettamente analitica. Della qualità – riecco la parola scivolosa come poche per l'arte d'oggi- della pittura di Pipani molto è stato scritto, rilevandone le caratteristiche peculiari, pur  se da prospettive di lettura  anche molto diverse.  Ma  forse non sarà inutile tornare ad insistere su certe sue prerogative direi proprio materiali, concretamente fisiche, e tentare di trovarne la 'spiega' nelle parole dello stesso artista. Che parla di “rimandi” a luci, riverberi, atmosfere, perfino ad odori, sensazioni; non bastasse, con riferimenti espliciti al paesaggio collinare e marino, insomma alle memorie dei luoghi della sua vita. Ad una lettura un po' sbrigativa  ce ne sarebbe d'avanzo, insomma, per rendere non proprio pertinente ogni considerazione su una linea di astrattismo razionalista o concretista che dir si voglia.  Ma il saggio di Sproccati  cui si è precedentemente accennato diceva ben altro. Quel diverso sguardo sul dipinto  rispetto alla realtà cui potrebbe comunque rimandare, s'intende bene che indica  una specificità della pittura e delle sue componenti che richiede un'attenzione visiva capace di cogliere negli stessi materiali, colori, tonalità, e nei loro valori formali anche il nascosto, o il sottinteso. O come diversamente si possono chiamare, le sensazioni, le emozioni provate in certe circostanze, che fanno riaffiorare quelle già provate in altri momenti e in altri luoghi, memorie  sedimentate nel tempo. Del resto, come ha scritto Faulkner, “il passato non passa mai, non è che una dimensione del presente.” E non a caso il nostro Carrà, licenziata l'intensa avventura futurista, dopo aver ripensato a Giotto e a Paolo Uccello 'costruttore', non prefigurava forse nel suo diverso corso “quel non so che di antico e di moderno”?  Parlava in termini precipuamente formali, d'accordo, ma questi presumevano un implicito riferimento ad un'attualità anche  di vita comunque carica di  vissuto.   

Quanto ai materiali a cui ricorre  Pipani nei suoi lavori, anche del passato - carte, garze, gessi, supporti lignei, cera, ossidi, resine, pigmenti –  intanto risulta subito  evidente come questi costituiscano un corpo unico con i colori diafani, o “non colori” secondo l'artista, quasi a rendere ambigua, più sfuggente la loro specificità fisica. “Il colore – scriveva al riguardo Sabina Ghinassi- si accorda a questo  gesto meditato in una texture di toni chiari che scivola dal candore niveo delle garze alla malinconia di terre sabbiose e cineree.” E a proposito di materiali occorre dire che il loro 'uso' è nettamente diverso dagli inserimenti materici di eredità neodada statunitense, dove il prelievo di tracce e oggetti di una quotidianità urbana rimarcavano appunto la loro appartenenza al vivere  abituale, e anche alla loro insignificanza estetica. Al contrario, per Pipani ogni materiale è assorbito nelle stratificazioni di una superficie sensibile, formalmente elaborata in un esercizio artigianale proprio di una tradizione che resta come eredità anche se nascosta. Semmai, a volersi  soffermare in termini di filologia sulla ricerca di  precedenti di maggiore pertinenza, sembrerebbero più calzanti, con le debite riserve, i casi sia pur diversissimi, di  Novelli, del Perilli fine anni '50, e magari di Twombly. Potrebbero suggerirlo certe tracce grafiche come  di scritture ormai consunte dal tempo, o ravvivate come segni di una istintiva ma trattenuta gestualità, quasi una fugace trascrizione  emotiva, un trasalimento di memorie; e talora l'affiorare di qualche parvenza di immagine tra le pieghe cartacee, sulla diafana superficie pittorica con l sue trasparenze  e l'emersione a tratti di qualche accensione cromatica. In ogni caso e con buona pace della pedanteria filologica, è quanto concorre ad offrire brani di una narrazione composita di vissuto, dove memorie e attualità, appunto, tendono a fondersi. Superficie e profondità: ecco gli spazi di un paesaggio che è insieme fisico e simbolico, ovvero evocativo per investitura ideale. Ed è per coglierne appieno la qualità che lo sguardo deve saper  attraversare la fluidità, le trasparenze, le penombre e le flebili modulazioni del colore, gli ispessimenti e le stratificazioni, in una profondità non già prospettica ma virtuale,  di partecipazione emotiva. Oggi  questi spazi di Pipani si presentano ancora più spogli, rispetto ad un passato recente, di elementi per così dire figurali come alberi, vegetazione, case, scritture, tratti che diremmo paesaggistici che Pipani definiva “dimenticati”, comunque propri di un repertorio di memorie  non solo visive di un vissuto  su cui si sono ampiamente soffermati i suoi esegeti. Spazi meditati di  paesaggi  di un'attualità toccata da echi, corrispondenze, riverberi di “un passato che non passa mai.”



Estratto dal catalogo della mostra SPAZI DI UN PAESAGGIO 

bottom of page