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Parole d’albero

Quando Mauro Pipani ci ricorda che «gli alberi sono anime», conferma, nella pratica dell’arte contemporanea, una sapienza antichissima. La civiltà europea ha saputo – e ha dimenticato – che gli alberi sono vivi. Non vivi di un’astratta e muta vita vegetativa, ma vivi di una vita di parola, di senso, di esperienza. Dice bene Mauro Pipani: gli alberi non hanno un’anima, sono anime. Si comprende che gli alberi sono anime, quando si intuisce una vita quasi-umana inscritta nella loro vita tacita, solitaria, reservata. Aprite le Metamorfosi di Ovidio: è tutto un rincorrersi di forme umane che si trasformano in forme vegetali, e di intensità vegetali che sfociano in gesti umani. In origine, Daphne, Narciso, Agave, Ciparisso non sono nomi comuni di cosa: sono nomi propri di persona. La parola poetica nomina l’esperienza di quella vita che è anteriore all’astratta distinzione di vita umana e vita universale. «Amor omnibus idem», canta il Virgilio delle Georgiche: il desiderio amoroso è comune a tutte le forme viventi. La mano del pittore di Pompei che fa rivivere, negli atrii delle case patrizie, le forme degli alberi, prolunga, sulla parete domestica, la vita vegetale che anche in lui agisce e trascorre. Chi ha visto il punto tortile nel quale la Dafne marmorea di Bernini, inseguita da un Apollo innamorato, diventa alloro (albero della poesia e della gloria, la corona di Petrarca, e il serto vegetale nella superba Ispirazione del poeta di Poussin), conosce il punto nel quale monumento scultoreo e vita palpitante, amore e morte, carne e vene pulsanti diventano materia dalla durezza inscalfibile, si risolvono in un Tutto, nel quale la rapidità di un gesto compiuto a perdifiato sta per sempre in una figura che perdura.
Nell’opera e nei versi di Mauro Pipani c’è tutto questo. Alberi che crescono su terreni salmastri, radici che affondano nelle sabbie, spazi di rena che congiungono terra e mare. Graffi, cicatrici: grandi segni, traumi, incisioni, memorie. Le carte di Mauro Pipani sono anche sempre vele e garze. L’arte, qui, non consola; è più fattiva: benda. Vi è il vento che spazza i mari e i ricordi trascorsi, ma che si acquieta, nell’abbraccio di una costa protettiva, di un ritorno a casa. Dolore dell’assenza, congedo, lontananza, addio, senz’altro. Ma promessa di durata nel ricordo, patto di riconoscimento, forse promessa di congiunzione, di vita che cresce, che sta, che rammemora. Gli alberi sono i quieti monumenti di una vita che non si estingue.

Pier Alberto Porceddu Cilione

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