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PIPANI, UN AMANUENSE DEI GIORNI NOSTRI
di Renato Barilli
Ai tempi dell’Informale, e cioeÌ€ piuÌ€ di mezzo secolo fa, si insisteva tanto sulla cosiddetta poetica del muro, intendendo con essa il fare ricorso a una superficie grossolana, abrasiva, contro cui le tracce della mano andavano a schiacciarsi venendone assorbite. Poi ci fu un processo di risalita verso forme piuÌ€ elaborate, e al muro vennero sostituite le pagine cartacee, come di un qualche codice su cui esercitare la bravura di un amanuense. Grande artefice di questo passaggio dalla brutalitaÌ€ del muro verso forme piuÌ€ gentili e delicate, almeno nel nostro Paese, eÌ€ stato Gastone Novelli. Fra l’altro, questo ammorbidimento degli interventi, ovvero questa possibile conciliazione tra un informe primordiale e le tracce della civiltaÌ€, manifestate soprattutto dall’apparire della scrittura, ha fatto siÌ€ che accanto a macchie informi o ad altri interventi quasi di natura comparissero le lettere, ma con l’obbligo che queste fossero stese a mano, senza l’intervento della tipografia. E dunque, per una produzione del genere, non si puoÌ€ parlare, per esempio, di poesia visiva, volta ad associare le immagini con le icone dei mass media.
Vale piuttosto la formula lanciata allora da Roberto Sanesi e da Ugo Carrega di una poesia “simbiotica”, volta a sfruttare la coesistenza di tante impronte, umane e naturali, sulla medesima superficie, chiamata ad arricchirsi senza fine di questi sottili nutrimenti, pur sempre mantenendo il carattere leggero e “portatile” del foglio, magari anche pronto a ritrovare la serialitaÌ€ del codice, del volume. Ebbene, ho sentito la necessitaÌ€ di rievocare questo ampio quadro di riferimenti dato che l’arte di Mauro Pipani vi si colloca per intero, egli ne eÌ€ un prezioso, convinto, tenace continuatore, riuscendo a totalizzare in ogni sua opera una simile variegata costellazione di interventi, intelligentemente sospesi tra il fisico e il mentale. Ovvero, potremmo concludere, l’informatica con la sua virtualitaÌ€ non ha vinto del tutto la partita, vale la pena di continuare in un antico esercizio di amanuense o di miniatore, anche se magari, altra caratteristica del Nostro, nella sua opera invano cercheremmo tracce di minio, di colore squillante, anzi, siamo a una ben controllata sinfonia di bianchi e di grigi, il che del resto ben si addice a un’attivitaÌ€ fondata sulla scrittura come atto primario.
Tratto dal catalogo mostra "Innesti" - 2015
A SCRIBE OF OUR TIME
by Renato barilli
At the time of Informalism, that is more than half a century ago, much was involving the so called "wall" poetics, meaning with that the use of unrefined, rough surfaces against which the signs of the hand were squashed and thus absorbed. Then the process evolved taking on more elaborate forms and the wall was replaced by papery pages as in a sort of code upon which one would master the skills of a scribe. We owe much of this change, that of moving from the brutality of the wall to more delicate and gentle forms, at least in our country, to Gastone Novelli. Furthermore, the softening of the interventions, or rather the feasible conciliation between a primordial lack of shape and traces of civilization, mainly exhibited by the appearance of writing, has meant that along shapeless stains or other almost natural gestures, letters came as well, as long as they were written by hand with no use of printing processes. It is thus obvious that, for a production as such, no-one can talk, for instance, of visual poetry which tends to relate images to mass media icons.
The formula created back then by Roberto Sanesi and Ugo Carrega, that of a "symbiotic" poetry which exploits the coexistence of several signs, both human and nature-made on the same surface, prompted to endlessly feed on these fine nourishments and keeping nonetheless the same light and "portable" quality of paper, maybe even ready to recover the seriality of code and volume, is therefore far more suitable.
The reason why I have felt the need to make such an ample framework of references is because Marco Pipani's art finds in it its perfect location, he is its valuable, confident and tenacious heir, successfully achieving in each single work assorted constellations of interventions, intelligently hanging between physical and mental. Or rather, we may say that the battle with computer science, with its being so virtual, is not over yet, that it is still worth carrying on the ancient exercise of scribes or illuminators, but in his work, to no avail would we look for traces of red lead or bright colors, to the contrary, here we witness a well controlled symphony of whites and grays which is, after all, perfect for an activity based on writing as its main deed.
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