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Percezioni

Il mondo pare oggi manifestare una mistica naturale che si è rovesciata. I saperi legati alla terra devono fare i conti con un ambiente inciso e manipolato da interventi umani che arrivano a capovolgere radicalmente gli equilibri naturali. L’ antica grammatica in cui trovava un tempo rifugio la lingua delle pietre, degli alberi, degli animali, forse, non esiste più. La stessa natura da cui si è imparato a leggere la trama di questa infinita scrittura, segreta e misteriosa nelle sue articolazioni, è resa corrotta e alterata. La natura ha smarrito il senso del sacro che possedeva ab antico. E il paesaggio, che è insieme luogo della vista e della memoria, ha disperso molti dei suoi sentieri, gli stessi a cui i pittori e i poeti avevano saputo attingere con la forza della mimesis o con luce dell’idealizzazione. Ora siamo e rimaniamo attori e spettatori di nuovi paesaggi e di una diversa contemplazione.

Traslando dalla realtà scientifica, Mauro Pipani posa lo sguardo su una nuova consapevolezza visiva in cui l’antropocene, cioè l’era geologica in cui l’ambiente terrestre è ormai da tempo condizionato dagli effetti devastanti dell’azione umana, plasma la superficie non solo del pianeta ma della nostre percezioni, delle nostre empatie con il paesaggio e con gli elementi della natura.

Cinerini e dai toni smorzati come d’argille rapprese sono i pigmenti da lui impiegati che avvolgono le sembianze della natura, quasi residui delle esistenze che furono. Le varietà vegetali sopravvivono malgrado il collasso globale del sistema naturale, erratiche si spostano sulle superfici rugose dei grandi teli che Pipani ha punteggiato di segni e parole, artifici calibratissimi per mantenere viva metaforicamente la tensione tra il mondo naturale e la civiltà che ha corrotto a scala globale gli equilibri della terra. In una fosforica luce foglie e muschi e fiori sopravvissuti ritrovano segni vitali e d’astrazione. Purificati da una combustione che ne ha tuttavia preservato la struttura, esili tronchi, come vessilli, si impiantano a terra alla ricerca di radici perdute, in una immaginaria riforestazione. Rigermogliare su ogni desolazione, come risposta all’artificiale. Bisogna superare le convenzioni della percezione, vedere la forma originale delle cose al di sotto della loro condizione attuale, natura e paesaggio sono visibili, ancora, quasi una fulminazione in un crepuscolo di inchiostri e di corrusche tracce di grafite .

Annamaria Bernucci

Testo di presentazione della mostra "Antropocene" ex Chiesa di Santa Rita - Roma

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